Attese quasi invocate, le linee guida sull’agrivoltaico sono adesso realtà.
Fino a questo momento, infatti, gli operatori e gli agricoltori si erano mossi in maniera sparsa per realizzare impianti fotovoltaici in terreni agricoli, con lo scopo di integrare energia e coltura.
credit by Unsplah
Tra una crisi energetica e una guerra, il gruppo di lavoro coordinato dal ministero della Transizione Ecologica ha messo a punto, come si legge sul sito del MiTe, “le caratteristiche minime e i requisiti che un impianto fotovoltaico dovrebbe possedere per essere definito agrivoltaico, sia per ciò che riguarda gli impianti più avanzati, che possono accedere agli incentivi PNRR, sia per ciò che concerne le altre tipologie di impianti agrivoltaici, che possono comunque garantire un’interazione più sostenibile fra produzione energetica e produzione agricola”.
Vale la pena ricordare che per lo sviluppo di questa energia il Piano nazionale di ripresa e resilienza ha previsto un investimento di 1,1 miliardi di euro, con lo scopo di installare una capacità produttiva pari a 1,04 gigawatt.
Ma quando si può dire che siamo in presenza di un impianto agrivoltaico? Le linee guida pubblicate dal MiTe definiscono due condizioni.
Si parla di impianto agrivoltaico quando: adotta soluzioni integrative innovative con montaggio dei moduli elevati da terra, anche prevedendo la rotazione dei moduli stessi, comunque in modo da non compromettere la continuità delle attività di coltivazione agricola e pastorale, anche eventualmente consentendo l’applicazione di strumenti di agricoltura digitale e di precisione.
Prevede la contestuale realizzazione di sistemi di monitoraggio che consentano di verificare l’impatto dell’installazione fotovoltaica sulle colture, il risparmio idrico, la produttività agricola per le diverse tipologie di colture, la continuità delle attività delle aziende agricole interessate, il recupero della fertilità del suolo, il microclima e la resilienza ai cambiamenti climatici.
Articolo N.80 del 10-07-2022 | a cura di Luigi Campanella
Prof. Luigi Campanella. Si laurea in Chimica e ottiene l’Abilitazione alla professione di Chimico nel 1961. Professore Incaricato Stabilizzato, prima di “Esercitazioni di Chimica Industriale II”, poi di “Esercitazioni di Analisi Chimica Applicata, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” dal 1967 al 1980. Professore Ordinario di “Chimica Analitica” dall’a.a. 1980/81 all’a.a. 2002-2003 e di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali successivamente a tale data. Promotore e Direttore del Centro Interdipartimentale per le Scienze Applicate alla protezione dell’Ambiente e dei Beni Culturali. Attuale Coordinatore del Polo Museale de La Sapienza. È autore di oltre 500 lavori nei settori della Chimica Analitica, dell’Elettrochimica, della Chimica Ambientale, delle Biotecnologie Analitiche, della Chimica dei Beni Culturali.