Ciononostante, la diffusione dei fitofarmaci naturali al di fuori del settore dell’agricoltura biologica è ad oggi limitata ad alcuni prodotti e/o tecniche (solarizzazione, piante nematocide) in considerazione di numerosi vincoli di diversa natura.
Numerosi dei nuovi prodotti a base vegetale mostrano infatti un rapporto costo-beneficio nel breve periodo non sostenibile per una produzione convenzionale. Gli estratti da prodotti naturali, infatti, sono caratterizzati da costi più elevati rispetto ai prodotti di origine chimica, anche se lo sviluppo di principi attivi prodotti localmente ed il raggiungimento di un’economia di scala potrebbero limare queste differenze.
Rimane da definire il costo sociale dei prodotti impattanti in modo da poter prevedere aiuti o premi agli agricoltori che sostituiscano o limitino l’uso di fitofarmaci di sintesi. Inoltre la reale efficacia di un trattamento è molto spesso correlata con la persistenza, aspetto che è destinato a penalizzare le molecole naturali in quanto molto spesso la breve persistenza di un prodotto è direttamente collegata alla biodegradabilità dello stesso.
In alcuni paesi l’efficacia di un fitofarmaco non fa parte del dossier registrativo risultando di responsabilità del produttore, mentre in Italia per portare a termine l’iter di registrazione sono richiesti anche dati di efficacia. Ciò è auspicabile come forma di tutela di chi acquista il prodotto e per non squalificare il settore, ma non è certo facilmente applicabile anche ai prodotti vegetali che, al pari di quelli sintetici, devono mostrare un’efficacia superiore all’80% del controllo.
Molto spesso, infatti, la valutazione dell’efficacia è erroneamente scambiata per valutazione della ripetibilità dei risultati, parametro che nel caso di molecole naturali può variare notevolmente in considerazione dei numerosi fattori che concorrono al risultato finale del trattamento nel breve periodo e che viceversa è più stabile nei trattamenti con prodotti di sintesi. Inoltre, l’esigenza dei prodotti di origine naturale di essere supportati da un punto di vista tecnico al fine di ottimizzare i risultati è sicuramente maggiore rispetto ai fitofarmaci di sintesi. Il collegamento tra il produttore, il tecnico agronomo e l’utilizzatore devono essere pertanto i più stretti possibile, e a tal scopo è necessario formare i tecnici affinché forniscano informazioni chiare e dettagliate agli utilizzatori.
Altri vincoli alla diffusione di questi prodotti sono legati alla loro reperibilità, nonché alla loro compatibilità con i disciplinari del biologico e dell’integrato, così come anche una carente informazione ai consumatori finali è un fattore che può penalizzare l’uso di prodotti a ridotto impatto nella coltivazione: non è facile far arrivare all’utilizzatore finale non solo un prodotto, ma anche un’idea, un progetto, spiegare il valore di un sovescio rispetto a una bromurazione, magari a discapito di parametri estetici, anche se è vero che il consumatore è sempre più attento ai parametri qualitativi, ambientali e sociali secondo cui un articolo è stato prodotto.
Lo sviluppo della filiera, pur se in teoria potenzialmente di interesse sia da un punto di vista commerciale che ambientale, è quindi ostacolato fortemente da una serie di fattori tecnici ed economici e dovrebbe pertanto beneficiare di incentivi e normative volte ad incoraggiare la limitazione o l’abbandono di particolari composti di sintesi ad elevato impatto ambientale.
Tra questi, il bromuro di metile, vietato a partire dal 2005 in tutti i paesi industrializzati nell’ambito del protocollo di Kyoto in considerazione dei sui effetti dannosi sulla fascia dell’ozono, può rappresentare nei prossimi anni un’importante settore di sviluppo delle molecole naturali, non essendo al momento ancora state presentate sul mercato alternative chimiche di efficacia analoga al bromuro di metile. Il bromuro di metile svolge una forte azione di sterilizzazione del terreno, inibendo la naturale fertilità dello stesso e una delle possibili strategie alternative è quella di perseguire un ripristino dell’equilibrio della microflora del suolo attraverso una sinergia tra diverse tecniche a ridotto impatto ambientale in cui le molecole vegetali ad azione biocida possono ritagliarsi uno spazio importante.
Tra queste si ricordano:
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- L’utilizzo di funghi antagonisti e in generale di lotta biologica
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- La solarizzazione che prevede la copertura con teli di plastica (anche biodegradabile) per un sufficiente numero di giorni, al fine di riscaldare il suolo in seguito all’irradiazione solare
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- La biofumigazione che, attraverso il sovescio o all’apporto di estratti o disidratati di piante, prevede il contemporaneo apporto di grandi quantità di sostanza organica che una volta idratata mostra fenomeni di idrolisi e fermentazione con liberazione di sostanze ad elevata attività biocida
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- L’utilizzo di portainnesti resistenti che pur se caratterizzati da costi elevati possono risultare fondamentali per la coltivabilità di un suolo ad elevata carica patogena
- La sterilizzazione con vapore o potassa che però, se è vero che ha un basso impatto in termini di biodegradabilità e tossicità dei prodotti, non si può dire altrettanto in termini di consumi energetici e produzione di CO2 , soprattutto se applicata nei mesi invernali.