L’agricoltura di qualità, parola chiave per tutti i settori dell’agricoltura italiana, tra gli altri parametri individua nella riduzione dell’impatto sugli agroecosistemi un aspetto in grado di caratterizzare e qualificare ulteriormente il prodotto finale. In questo caso, l’esperienza dell’agricoltura biologica è per molti aspetti esemplificativa, ma dobbiamo anche considerare che altre forme di agricoltura di qualità, volte alla “massima” riduzione possibile dell’impatto, sono garantite ad esempio da alcuni marchi della grande distribuzione, che si è dimostrata molto interessata ad innovazioni tecniche in grado di garantire la salute del consumatore e un maggiore rispetto dell’ambiente.
Lo sviluppo dei fitofarmaci di origine naturale trova quindi buone prospettive applicative anche se bisogna ricordare che il loro utilizzo richiede un approccio diverso e differenti strategie di difesa delle colture in quanto raramente la sostituzione integrale ed acritica dei prodotti convenzionali con omologhi naturali si è mostrata in grado di fornire risultati soddisfacenti. Le esperienze più interessanti sono state ottenute mediante sinergie tra le diverse tecniche come ad esempio il sovescio di piante ad azione biocida a cui segue la solarizzazione, come prevedono alcuni disciplinari proposti dalla grande distribuzione (Ortofin-finiper) e in corso di attuazione in campi di orticole in Sicilia, Sardegna, Lazio, Campania e Puglia.
Inoltre, le molecole vegetali sono generalmente in grado di sviluppare effetti sinergizzanti legati alle elevate quantità di sostanza organica e di proteine associate a queste molecole, come ad esempio le farine di Brassica carinata che sono state inizialmente valutate per le loro proprietà ammendanti piuttosto che per la loro azione biocida. L’apporto sistematico di sostanza organica determina infatti un effetto allelopatico che favorisce i meccanismi di competitività tra i patogeni e di autoimmunità dell’agroecosistema, consentendo un ulteriore vantaggio nella difesa delle colture.
Le molecole biocide di origine naturale sono generalmente caratterizzate da una minore tossicità non solo per l’uomo ma anche per l’ambiente, con un effetto più “soft” non solo in quanto i principi attivi sono presenti in concentrazioni molto inferiori rispetto ai prodotti di sintesi, ma anche perché il rilascio delle molecole bioattive è modulato e tamponato dalle interazioni con la sostanza organica e l’ambiente.
La maggiore complessità dei sistemi naturali consente nello stesso tempo una maggiore versatilità, nel senso di poter osservare la natura e sfruttare la varietà di sostanze, mezzi di difesa, concentrazioni ed equilibri che l’evoluzione ha prodotto e che spesso consentono una gestione olistica della fertilità chimica e biologica dei terreni, mentre l’approccio della chimica classica tende a individuare la cura a una specifica malattia della pianta, spesso senza tenere nel giusto conto i meccanismi naturali di risposta nel medio e lungo periodo.
La difesa delle colture non dovrebbe invece prescindere dalla fertilità del suolo e il rilancio dei sovesci sia con piante tradizionali che con essenze miglioratrici del suolo è in grado di determinare positive ricadute anche sull’aspetto nutrizionale, aspetto non marginale se si considera che le matrici su cui lavora l’industria dei fertilizzanti organici sono in genere di natura animale e contengono molto spesso quantità non trascurabili di metalli pesanti.
Con questi presupposti gli agricoltori che seguono queste pratiche potranno trarne vantaggio sia dal punto di vista dell’immagine delle loro produzioni che per una migliore e meno impattante gestione dell’azienda ed anche per un miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie del loro ambiente di lavoro. Tale vantaggi diverranno anche economicamente quantificabili nel caso in cui alcune sostanze chimiche siano proibite (come è successo nel caso del bromuro di metile) privando tutti gli agricoltori di prodotti convenzionali molto diffusi e di fatto indispensabili nei sistemi di coltivazione convenzionali.
Giova infine ricordare che la riduzione dell’impiego di fitofarmaci e soprattutto dei trattamenti a calendario esclude il rischio di contestazioni in seguito alla presenza di residui chimici superiore ai limiti di legge, con evidenti ricadute sulla qualità delle produzioni e dell’ambiente di lavoro degli addetti alla produzione.