Le colture di possibile interesse per il Centro Italia
Le colture da fibra coltivate su grandi superfici nel mondo sono poche e su tutte, come già detto, domina il cotone. Quali sono di interesse per l’Italia Centrale?
Tecnicamente potrebbero essere forse una decina in grado di adattarsi concretamente alle condizioni pedoclimatiche. In realtà solo canapa, lino, kenaf e sorgo da fibra possono essere prese in considerazione per la capacità di adattarsi all’ambiente e di poter rientrare negli avvicendamenti tradizionali senza provocare particolari sconvolgimenti. Possono essere ricordate anche ginestra, ortica e ramiè, che però hanno problemi molto diversi rispetto alle specie annuali sopra citate, così come il cotone attualmente non sembra potersi spingere tanto a nord. Senza entrare in dettagli, può essere interessante un sintetico confronto fra colture, in modo da fornire informazioni per orientare le scelte.
Risulta una prevalenza relativa delle due colture più antiche, canapa e lino, su kenaf e sorgo da fibra. Va però messo in evidenza che anche per le prime, la superiorità è solo relativa pertanto è necessario approfondire le conoscenze soprattutto alla luce delle nuove possibili destinazioni d’uso. Anche le colture antiche vanno “ripensate”.
È perciò utile conoscerne, e confrontarne, alcuni aspetti quali esigenze, asportazioni, fitotecniche, livelli produttivi, caratteristiche qualitative, ecc., tenendo conto delle variabilità dei dati dovute ad ambiente, cultivar, fitotecnica.
Possibili nuove destinazioni d’uso
Va ricordato che le colture da fibra, e in particolare la canapa, sono colture multiuso. Questa caratteristica può e deve essere sfruttata valorizzando scarti e sottoprodotti che in diversi casi possono divenire addirittura coprodotti. Deve però essere chiaro che il componente di valore non è lo stelo, ma la fibra e quindi si deve puntare ad ottimizzare la produzione di quest’ultima (Graf et al., 2003; Venturi, 2004; 2005).
Le fibre vegetali, cellule singole o gruppi di cellule, in funzione della combinazione tra le tre principali componenti (cellulosa, emicellulosa e lignina) presentano in modo variabile caratteristiche che hanno interesse differente per l’uomo a seconda degli obiettivi perseguiti.
Caratteristiche positive sono: la proprietà di isolare da quella caloria l’elettricità; la biodegradabilità; la resistenza soprattutto alla trazione; la reattività a modifiche chimiche.
Caratteristiche negative sono: la incostanza dimensionale, l’igroscopicità può far cambiare il volume in funzione dell’assorbimento di umidità peraltro controllabile con trattamenti già noti; la combustibilità, anch’essa controllabile con trattamenti, che al contrario può essere considerata un vantaggio qualora si volesse ricavare energia a fine ciclo del prodotto.
Ai già citati tradizionali impieghi delle fibre vegetali, alla fine del secolo scorso si sono aggiunte nuove possibilità: di queste ultime verrà riferito sulla base della bibliografia più recente.
Biocompositi
Sono prodotti con una vastissima gamma di impieghi, nei quali fibre lignocellulosiche sono mescolate ad altri materiali. Le matrici rinforzate delle fibre possono essere a base di plastica, particelle legnose, metalli, polimeri, ceramiche etc.
L’idea innovativa di utilizzare fibre naturali per rinforzare matrici polimeriche è stata sviluppata a partire dal 1989, creando nuovi materiali chiamati biocompositi. Da allora il settore è molto cresciuto, tanto che nell’ultimo decennio il mercato europeo delle plastiche rinforzate con fibre ha avuto performance migliori di quello delle termoplastiche.
I biocompositi sono impiegati in svariati settori, in ognuno dei quali si fanno apprezzare per caratteristiche diverse che, di volta in volta, assumono un ruoilo di differente importanza: ad esempio minor peso nell’industria automobilistica, capacità isolante in bioedilizia, degradabilità in agricoltura, riciclabilità in generale e, non ultima, capacità con opportune combinazione di avere un’ottima forza nonostante la minor densità. Nei compositi l’efficienza del rinforzo di fibra dipende dalla capacità di trasferire lo sforzo dalla matrice alla fibra. Ciò è ostacolato dalla scarsa adesione tra superficie idrofila della fibra e polimeri idrofobi normalmente usati come matrici: trattamenti chimici possono migliorare tale adesione e perciò le proprietà meccaniche preservando la biodegradabilità.
Industria automobilistica
L’impiego di materiali non metallici nel settore dei trasporti (autovetture, aerei, ferrovie) ha radici lontane, da quando Henry Ford disegnò l’architettura di un’automobile interamente in polimeri. Attualmente l’industria automobilistica sembra dare importanza al minor peso e alla resistenza che, se le fibre sono posizionate in modo da essere parallele alla direzione delle forze applicate, può essere paragonabile a quella dei polimeri rinforzati o delle fibre di vetro.
In realtà, se in un primo tempo (anni ottanta e inizio anni novanta) l’impiego nell’industria automobilistica di fibre naturali non legnose in sostituzione di quelle legnose o derivate da residui del tessile, successivamente ci si è resi conto dell’importanza di altri aspetti quali:
– bassa densità con possibile riduzione dal 10 al 30% del peso;
– interessanti proprietà meccaniche ed acustiche;
– favorevoli proprietà durante la lavorazione (minore usura degli utensili);
– possibilità di costruire in un solo passaggio anche elementi complessi;
– favorevole comportamento in caso di incidente (alta stabilità, assenza di schegge);
– favorevole ecobilancio sia nella fase produttiva che in quella di utilizzo (il minor peso consente risparmio di carburante);
– benefici per la salute in confronto alle fibre di vetro;
– assenza di componenti gassosi tossici (in confronto a resine fenoliche legate al legno e a fibre di cotone riciclato);
– prezzi vantaggiosi in confronto alle tecnologie usate in precedenza e alle fibre sintetiche (il cui costo è legato al petrolio).
Questi aspetti hanno evidentemente importanza se una ventina delle principali case automobilistiche (Audi, BMW, Citroen, Daimler Chrysler, FIAT, Ford, Mitsubishi, Nissan, Opel, Peugeot, Renault, Rover, Saab, SEAT, Toyota, Volkswagen, Volvo) usa, in diverse parti della vettura di diversi modelli, fibre vegetali, che presentano inoltre un ottimo isolamento dal calore, permettono di risparmiare energia termica nelle operazioni di riciclo ed hanno anche una buona e riproducibile qualità.
Con le tecnologie attuali possono essere usati da 5 a 10kg di fibre naturali per auto (escluse le imbottiture dei sedili). Per i 15-20 milioni di autovetture prodotte annualmente in Europa si può avere una richiesta da 75000 a 200000t di fibre vegetali per anno. Poiché la produzione di un ettaro può variare da 2 a 4 t, ciò significa da un minimo di 20000 ad un massimo di 100000 ettari.