Ma come può essere valutata la qualità? Non è facile. C’è un bisogno “disperato” di sviluppare un metodo europeo per classificare le nuove fibre (Newman, 1999). Varie metodologie sono in fase più o meno avanzata di studio (Frederiksen et al., 1999a, 1999b; Jensen e Lilholt, 1999; Bjerring et al., 1999; Oliveros et al., 1999; Petterson et al., 1999; Rheinländer et al., 1999; Rennebaum et al., 1999; Toftegaard e Lilholt, 1999a, 1999b).

La qualità delle piante da fibra può essere valutata in termini di caratteristiche microscopiche, ultrastrutturali, composizione chimica, proprietà fisiche (Olesen, 1999) e tali caratteristiche della materia prima devono sempre essere messe in relazione con quelle del prodotto finale. E, poiché le caratteristiche di quest’ultimo dipendono da quelle della materia prima e possono essere influenzate nel corso delle successive fasi del processo di lavorazione, è indispensabile comprendere le relazioni fra materiale di partenza e operazioni di lavorazione (Van Dam, 1999).

Il requisito per costruire effettivamente un sistema qualità è quindi capire le correlazioni fra composizione, morfologia, struttura, proprietà delle fibre attraverso appropriate analisi chimiche e fisiche (Eenink et al., 1996). Vanno valutate le differenze fra specie, e nell’ambito di queste fra varietà; vanno valutati gli effetti sulla qualità dovuti a tecniche colturali, grado di maturazione, modalità di raccolta, modalità e tempi di macerazione,  separazione fibra, prime lavorazioni, ecc. per poter operare scelte opportune e apportare le modifiche richieste per ottenere i prodotti voluti.

Va ricordato che il materiale vegetale è molto disomogeneo: ad esempio nella canapa si hanno differenze marcate fra piante maschili e femminili, alte e basse, cresciute rade o fitte, in fase più o meno avanzata di maturazione (Venturi, 1963; Venturi e Amaducci, 1996, 1997, 1999; Naumenko, 2002) e la variabilità delle caratteristiche qualitative della fibra in uno stelo è sia trasversale che verticale (Venturi e Amaducci, 2003).

È perciò necessario un controllo costante della qualità con metodologie non distruttive per valutare le proprietà fondamentali, funzionali, tecniche, di processo, in funzione della destinazione del prodotto (Kessler e Kessler, 2002). La variabilità delle caratteristiche qualitative nel tempo e nello spazio, e quindi la mancanza di standardizzazione e i cambiamenti decisivi a livello morfologico e chimico durante le fasi di lavorazione, sono un aspetto negativo dei materiali biobasati.

Questi svantaggi possono però essere trasformati in vantaggi se la variabilità è trasformata in versatilità (Kessler e Kessler, 2002).

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