Una delle sfide della nostra epoca, fortemente antropizzata, è certamente mettere a punto un sistema di coltivazioni che non distrugga l’ambiente, ma anzi lo rigeneri.
Le strade sono diverse: coltivazioni alternate e cicliche, attivatori biologici, ripristino delle condizioni naturali andate distrutte a causa dell’agricoltura intensiva.
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Le alternanze delle colture hanno la funzione di riequilibrare le caratteristiche del suolo spesso stressate da colture intensive ed uniche, ma richiedono precise compatibilità biologiche.
Circa gli attivatori, si tratta di integratori al terreno con diverse funzioni: dall’accresciuta respirazione, alla protezione antiox, alla accresciuta mobilità idrica, e ne esistono molti in commercio, pubblicizzati come toccasana perfetti.
La terza via è forse la più affascinante: si tratta di tornare alla natura originale, rimodellare le pendenze, ricreare canali e prati umidi, rinaturalizzare con piante autoctone.
L’equilibrio naturale riconquistato consente anche di contenere gli insetti dannosi; ma forse il contributo più importante riguarda l’effetto positivo sui cambiamenti climatici.
L’agricoltura intensiva, finalizzata solo a vantaggi economici momentanei, ne è una dei responsabili attraverso una spinta esercitata verso la desertificazione e la perdita di alcune specie biologiche: il terreno perde fertilità e non può svolgere la sua funzione equilibratrice ne di stoccaggio dell’anidride carbonica e dell’acqua, i composti base del processo vitale più importante, la fotosintesi clorofilliana.
Inoltre man mano che le monoculture impoveriscono i campi si cerca di rimediare con concimi, ma il recupero della sostanza organica, l’humus, risulta impossibile perché è stata compromessa la vita dei microorganismi preposti alla sua formazione.
Unendo tecnologie estremamente innovative (ad esempio la produzione di concimi ed energia a partire da rifiuti umidi) e competenze anche antiche, si ricrea l’ambiente perduto a vantaggio, dell’agricoltura, dell’ambiente stesso, delle specie animali e vegetali che riappaiono a garanzia della protetta diversità biologica ed infine del paesaggio.
Articolo N.77 del 07-07-2022 | a cura di Luigi Campanella
Prof. Luigi Campanella. Si laurea in Chimica e ottiene l’Abilitazione alla professione di Chimico nel 1961. Professore Incaricato Stabilizzato, prima di “Esercitazioni di Chimica Industriale II”, poi di “Esercitazioni di Analisi Chimica Applicata, presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” dal 1967 al 1980. Professore Ordinario di “Chimica Analitica” dall’a.a. 1980/81 all’a.a. 2002-2003 e di Chimica dell’Ambiente e dei Beni Culturali successivamente a tale data. Promotore e Direttore del Centro Interdipartimentale per le Scienze Applicate alla protezione dell’Ambiente e dei Beni Culturali. Attuale Coordinatore del Polo Museale de La Sapienza. È autore di oltre 500 lavori nei settori della Chimica Analitica, dell’Elettrochimica, della Chimica Ambientale, delle Biotecnologie Analitiche, della Chimica dei Beni Culturali.