Al contrario, in Italia il settore dei BP, non beneficia di alcun tipo di aiuto pubblico, neanche di forme di defiscalizzazione analoghe a quelle previste per il biodiesel. In Germania a partire dal 2005 e fino al 2012, una norma consente ai distributori di non dover pagare le tasse sugli imballaggi costituiti da BP, né di far in modo che venga recuperato (per il riciclaggio o l’incenerimento) almeno il 60 % del prodotto consegnato.
Ciò risulta di estremo interesse per i produttori, in quanto la raccolta e il riciclaggio della plastica è un’attività in perdita (a differenza di altri settori quali la produzione di compost, vetro o alluminio riciclati). Nel 2002 il contributo impegnato dal CONAI (Consorzio Nazionale Imballaggi) per il recupero della plastica superò i 130 milioni di euro, più della metà del contributo per la raccolta di tutti i materiali. Aumentare il consumo di BP permetterebbe di reinvestire tali finanziamenti, ma solo se il loro destino finale fosse la produzione di compost e non certo quello di plastica riciclata. Il destino post-consumo dei BP è un argomento di estremo interesse che merita di essere approfondito.
Esistono nel mondo cinque diversi marchi che certificano la compostabilità di un prodotto e possono essere utilmente utilizzati per i BP, quelli esistenti in Europa si basano sulla norma EN 13432 (adottata anche come UNI dall’Italia). Il marchio può riferirsi a compostabilità in impianto di compostaggio industriale o a compostabilità domestica (come nel caso del marchio “OK compost Home” della società belga di certificazione Vinçotte), dove la temperatura e l’azione dei microrganismi sono ridotte. Per quanto riguarda il compostaggio industriale, il marchio maggiormente diffuso in Europa è quello promosso da IBAW (International Biodegradable Polymers Association & Working Groups) presente in Germania, Austria, Regno Unito, Svizzera, Olanda e presto in Belgio e Francia, che grazie ad un accordo con 4 aziende che rappresentano il 90% del mercato dei BP in Europa, ad aprile 2005 aveva certificato 100 prodotti (di cui 50 già sul mercato), corrispondenti a 22.000 ton di BP.
L’incremento della raccolta della frazione organica, che corrisponde a circa il 30% del peso dei rifiuti domestici, sembra essere l’unico modo per raggiungere gli obiettivi, disattesi, del Decreto Legislativo 22/97 (art. 24 comma 1) che prevedeva di raggiungere, entro il 2003, una quota minima del 35% di raccolta differenziata dei rifiuti urbani.
L’utilizzo di imballaggi biodegradabili opportunamente raccolti e compostati industrialmente con la frazione organica, consentirebbe di ridurre gli scarti in uscita dall’impianto di compostaggio, che sono conferiti (dietro pagamento) in discarica; l’utilizzo del sacchetto biodegradabile per la raccolta , se posto in appositi contenitori areati, permette una perdita in peso del 15-20%, riducendo così i costi di trasporto e gli onerosi costi di pulizia dei cassonetti, qualora si continui ad utilizzare questo metodo di raccolta sebbene diverse esperienze indicano che la raccolta a domicilio della frazione organica (il cosiddetto “porta a porta”) consente di avere un rifiuto con minore quantità di “impurezza”.
Ad ogni modo sembra accertato che l’uso di plastiche compostabili contribuisca a sensibilizzare i cittadini ad una raccolta del materiale organico maggiormente mirata alla qualità del compost e alla riduzione degli scarti. E’ doveroso sottolineare che, sulla base di queste considerazioni, sembra fondamentale rivedere il processo di compostaggio industriale, pensando di differire il vaglio di raffinazione dopo un primo periodo di compostaggio, in modo che i BP (ed altri materiali compostabili) siano così in avanzata fase di decomposizione e non vengano conferiti in discarica.
La Commissione Europea è molto attenta al tema della tossicità degli imballaggi stabilendo i limiti di cessione e i materiali utilizzabili (Dir. 89/109/CEE, 94/62/CE e successive integrazioni). E’ presumibile che in futuro il legislatore attiverà meccanismi atti ad incrementare l’uso di imballaggi biodegradabili.
Un emendamento ad una legge di orientamento agricolo, passato in prima lettura all’unanimità al Parlamento francese l’11 ottobre 2005, stabilisce che dal 1 gennaio 2010 in Francia non potranno essere venduti o distribuiti sacchi e imballaggi in plastica non biodegradabile. Tale emendamento, che ha colto di sorpresa gli stessi produttori di BP, in Senato è stato rivisto riducendo l’obbligo ai soli sacchetti di plastica, ma determinerà comunque un rapido sviluppo del mercato dei BP. Analogamente anche in Italia grazie ad un emendamento alla legge finanziaria 2007 dal 2010 è vietato l’uso di sacchetti di plastica. L’Irlanda nel 2002 ha imposto una tassa di 15 centesimi per ogni sacchetto per la spesa in plastica acquistato, riducendone di fatto il consumo del 90%, recuperando 12 milioni di euro l’anno da destinare a fondi ambientali e incrementando il consenso dell’opinione pubblica.
D’altronde i consumatori giudicano estremamente positiva la sostituzione degli imballaggi con BP e li considerano i prodotti da imballaggio maggiormente ecocompatibili ( secondo il 90% degli intervistati di un sondaggio svolto a Kassel). Per non perdere questo “bollino” virtuale sembra indispensabile puntare su prodotti effettivamente ecocompatibili (100% da materie prime rinnovabili, OGM-free, compostabili) e proporli con chiarezza e univocità mediante campagne di sensibilizzazione non solo ai consumatori, ma anche ai responsabili delle forniture delle mense aziendali, delle sagre paesane, della pubblica amministrazione (Green Public Procurement).
Infine sembra importante sottolineare, come testimonia il caso francese, che uno sviluppo dei BP che comprenda l’agricoltura (utilizzando colture dedicate per produrre BP da risorse rinnovabili e patti di filiera) può avvantaggiarsi dell’interesse politico e dell’opinione pubblica verso il mantenimento del territorio.