PIOPPO in SRF

Per quanto riguarda più specificamente la S.R.F. di pioppo, sono state allestite a partire dall’inverno 1995/96, presso il centro interdipartimentale “E. Avanzi” (San Piero a Grado, Pisa), una serie di prove sperimentali tese, da un lato, a chiarire due fondamentali aspetti della tecnica colturale (sesto di impianto e ritmo interannuale di ceduazione) e, dall’altro, a verificare quale potesse essere il più conveniente livello di intensificazione colturale (alto e basso input) da adottare. In ogni caso, per tutti gli impianti di S.R.F., è stato impiegato materiale vegetale certificato (talee non radicate) di Populus deltoides cv.Lux, messe a dimora con una trapiantatrice da vivaio forestale.

Dai dati rilevati appaiono evidenti alcune differenze fra le tesi poste a confronto:

  1. le più elevate rese medie sembrano ottenibili (senza differenze apprezzabili fra loro) con sesti di impianto tali da determinare investimenti unitari oscillanti fra le 10.000 e le 13.500 piante ha-1, mentre con densità ancora maggiori le produzioni per unità di superficie si riducono di circa il 10-15% ;
  2. dall’altra esperienza, emerge che il ritmo di ceduazione più soddisfacente sembra essere quello ogni tre anni, rispetto al quale appare particolarmente negativo il risultato produttivo medio corrispondente alla ceduazione più frequente (21.7, 15.1 e 9.0 t ha-1anno-1 di s.s., rispettivamente per il taglio triennale, biennale ed annuale);
  3. a questo riguardo, però, occorre ricordare anche come in occasione della ceduazione triennale vengano inevitabilmente ad aumentare le frequenze delle “classi diametriche” più elevate del materiale ottenuto (anche sopra 6-7 cm), con possibili maggiori problemi di raccolta con macchine taglia-trincia-caricatrici.

In generale possiamo riassumere i principali punti forza e debolezza come segue:

Punti di forza: è in grado di esprimere livelli produttivi interessanti anche sul piano quantitativo, ma il suo principale vantaggio è senz’altro quello di produrre una biomassa di primissima qualità: il contenuto in ceneri e la silice quivi contenuta sono estremamente ridotti rispetto alle colture da energia erbacee. La biomassa può anche avere usi alternativi (cellulosa, truciolati, ecc.). La coltura costituisce una buona protezione per il terreno dai fenomeni erosivi e un ottimo rifugio per la fauna selvatica.

Punti di debolezza: la meccanizzazione della raccolta, lo stoccaggio e la conseguente logistica devono essere perfezionate; molti tentativi della messa a punto di macchinari specifici sono ancora costosi e non idonei. Non del tutto definita è la lunghezza del ciclo colturale in ambienti mediterranei. Rispetto ad alcune colture erbacee (ad esempio, canna e cardo) richiede un maggior numero di interventi sanitari .

Nell’ambito del Progetto Bioenergy Farm sono state condotte alcune prime valutazioni economiche e di bilancio energetico che ovviamente hanno valore orientativo e non definitivo (anche perché riferite al contesto agropedologico caratterizzante la pianura pisana) e devono tenere conto sul piano tecnologico della qualità della biomassa ottenuta.

Per quanto riguarda le valutazioni economiche, in linea di massima è possibile affermare che i costi colturali medi (siano essi relativi agli specifici mezzi di produzione impiegati sia riguardo gli oneri di meccanizzazione delle colture) non sembrano particolarmente diversi da quelli usualmente registrati nelle aziende agrarie della pianura pisana per le tradizionali colture erbacee di pieno campo in asciutto (del comparto cerealicolo industriale e/o cerealicolo zootecnico). Di contro, ad un livello superiore rispetto alle altre colture, si collocano nel nostro caso i costi “annualizzati” medi della canna e in misura meno appariscente anche quelli della SRF di pioppo; ciò deriva soprattutto dagli oneri relativi all’impianto delle due colture e, in particolar modo per la canna, al più elevato costo del materiale di propagazione.

Per quanto riguarda invece l’entità della PLV stimata per le differenti colture sembrano registrarsi sostanziali differenze fra le stesse; in particolare appare di tutto rilievo quella della coltura della canna comune (decisamente superiore anche ai normali ricavi medi unitari delle colture cerealicole e/o oleaginose delle nostre zone), molto buona anche quella del miscanto e, in minor misura, quella della SRF di pioppo; piuttosto bassa quella del sorgo e del tutto inaccettabile quella del cardo. Anche i dati elaborati per il calcolo del reddito medio annuo per unità di superficie hanno fatto registrare il risultato economico migliore per la canna, seguita dal miscanto e dalla SRF di pioppo; del tutto inaccettabili quelli ottenuti dal sorgo e dal cardo.

Le valutazioni inerenti il bilancio energetico, sia in ordine alle quantità assolute di energia prodotta per unità di superficie, sia in termini di più o meno elevati rendimenti dell’energia ausiliaria immessa nelle singoli coltivazioni, hanno prodotto i seguenti risultati: di particolare interesse sono i dati relativi alla coltura della canna comune, al miscanto, oltre alle valutazioni relativi alla SRF di pioppo che appaiono particolarmente interessanti anche per i sistemi colturali condotti al più basso livello di input.

L’organizzazione di filiere bioenergetiche a livello regionale ci pone di fronte alla necessità di qualificare la vocazionalità del territorio.

A seguito di una prima lettura , in cui sono stati presi in esame i territori maggiormente vocati per le colture dedicate (in funzione di parametri agropedoclimatici e logistico-organizzativi) e la disponibilità di biomasse residuali da attività agricola già presente, appaiono identificabili almeno quattro comprensori potenzialmente privilegiati: un’area grossetana, un’area senese-aretina, un comprensorio “chiantigiano” (tra il sud della provincia di Firenze e il nord di quella di Siena) e un’area pisana (tra Valdera e Val di Cecina). Questa ultima analisi non ha assolutamente una valenza definitiva, dal momento che è evidentemente necessario produrre ulteriori approfondimenti e procedere ad una lettura congiunta alla disponibilità di residui legnosi di origine forestale.

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