E’ noto, infatti, come in numerosi Paesi europei l’impiego complementare delle colture dedicate nella produzione di energia (prevalentemente come calore) dalle biomasse agroforestali, costituisca da tempo un discreto “business”, sia a livello della imprenditoria “industriale” che si colloca a valle della produzione primaria, sia per gli agricoltori (come è accaduto, ad esempio, in alcuni Paesi scandinavi ed in Austria con prospettive di ulteriore crescita.
Al riguardo, è comunque doveroso ricordare che qualunque tentativo di promozione e/o diffusione delle innovazioni di processo e/o di prodotto nel mondo agricolo deve necessariamente confrontarsi con la risposta più adeguata possibile a due domande che, più o meno consciamente e più o meno frequentemente, ogni agricoltore si pone: “cosa” e “come” coltivare? E’ altrettanto evidente che per rendere proponibili eventuali sistemi colturali “alternativi”, comprendenti anche le colture dedicate a destinazione energetica, nei vari ambienti agropedoclimatici della Regione, questi devono essere ovviamente valutati alla luce di molteplici chiavi di lettura, in rapporto almeno a tre livelli di sostenibilità: (1) agronomico-produttivo, (2) ecologico-ambientale e (3) economico-organizzativo.
Sul finire degli anni ’90, le specie potenzialmente più interessanti – individuate tra le diverse decine di quelle prese inizialmente in considerazione – risultavano essere soprattutto il sorgo (Sorghum bicolor L., Moench), il kenaf (Hibiscus cannabis L.), il panico (Panicum virgatum L.), alcune phalaris (Phalaris spp.), la kochia (Kochia scoparia Schrad.), il cardo (Cynara cardunculus L.), il miscanto (Miscanthus sinensis Anderss.), la canna comune (Arundo donax L.) e poche altre; le più promettenti in assoluto apparivano senz’altro: il sorgo da fibra, la canna comune, il miscanto ed il cardo (quest’ultimo negli areali più meridionali) peraltro adatti ai contesti agropedoclimatici della Toscana.
Di contro, non altrettanto “longeva” e non altrettanto diffusa sul piano territoriale, appare ancora oggi la sperimentazione avviata nel nostro Paese sulla S.R.F. (Short Rotation Forestry), sia per quanto riguarda la messa a punto dei principali elementi della tecnica di impianto, di conduzione, di difesa, di raccolta e di stoccaggio, sia in merito alla scelta delle specie agroforestali (e/o delle varietà di queste) più adatte alla coltivazione molto fitta ed alla ceduazione ripetuta in ambiente mediterraneo.